Ovviamente le cause sono molteplici e articolate: nei momenti di crisi si tende a “tagliare”, e si taglia tutto, sia i costi che gli investimenti.

C’è però anche un’altra causa, una caratteristica che ci fa distinguere gli imprenditori dai “prenditori” parassiti della società che producono danni immensi solo a causa della loro brevimiranza: l’ignavia.

Caratterizzano l’ingnavia indolenza spirituale, pigrizia, e viltà. Se poi è accompagnata da una buona dose di egoismo, il cocktail è completo.

E ora facciamo un bell’esempio di come ignavia, egoismo e “prenditorialità” danneggino il sistema: facciamo un esempio nel campo della logistica, ma è applicabile in un mare di altri casi esattamente con lo stesso schema.

L’ipotesi sottostante è che tutti abbiano necessità di rendere efficienti i loro processi per essere maggiormente competitivi sul mercato. Tutte le persone con le quali entro in contatto mi fanno il medesimo discorso, è il mantra delle aziende. L’efficienza però è ricercata nella contrattazione esasperata dei prezzi nella speranza che siano gli altri a fare lo sforzo di ottenere efficienza per noi condividendo però i benefici, oppure nella compressione verso il basso dei salari, intanto c’è sempre qualcuno disposto a svolgere quel compito per meno, in questo tempo di congiuntura.

E’ una ipotesi accettabile, vera? Direi di sì.

In realtà l’efficienza, e quidi i minori costi, si ottengono collaborando e investendo risorse, non continuando a tagliare rami finchè la pianta non secca ma, c’è un “ma”.

Nell’ambito della catena logistica che vede coinvolti, per esempio, tre attori: lo spedizioniere, il caricatore (o lo scaricatore), le società di software accade questo:

a) Lo spedizioniere non investe perché il caricatore/scaricatore non glielo chiede;

b) Il caricatore/scaricatore non chiede e non investe perché teme che lo spedizioniere abbia la scusa di chiedere un maggior prezzo (che potrebbe essere anche giustificato a fronte di un servizio migliore ed enormemente più efficiente)

c) la società di software non investe perché nessuno dei due attori precedenti, pur esprimendo l’esigenza, non formalizzano una commessa.

Tutto resta miseramente bloccato in quanto nessuno dei tre è un vero imprenditore che, come tale, darebbe di sua iniziativa una risposta ad una pressante esigenza del mercato.

A volte accade che, per motivi trasversali, qualcuno forzi la mano: l’Agenzia delle Dogane, l’Agenzia delle Entrate, per esempio.

Si scatena il finimondo: “Se vado in piazzale con cinquanta euro tra i documenti il contenitore si sblocca subito” (MA COSA MI STAI DICENDO!!!?), “La fatturazione elettronica è una cosa in più che dobbiamo fare: stampare le fatture e inviarle elettronicamente”, ecc. ecc.

Il fatto di fare gran parte delle operazioni in modo elettronico genera automaticamente efficienza nel processo: le fatture non devono essere stampate, possono essere generate elettronicamente, registrate automaticamente, eliminando così una quantità di lavoro letteralmente inutile senza pari. Certo, l’agenzia delle entrate ha le informazioni immediatamente, può forse fare controlli più facilemente, ma non mi starai mica dicendo che non vuoi fare le fatture elettroniche perché sei un imbroglione, vero?

E così, anche quando qualcuno forza, c’è la resistenza al cambiamento, anche quando questo è positivo: il trionfo dell’ignavia.

Nel contempo, se il caricatore/scaricatore, che deve essere però importante, chiede una soluzione nel campo dell’efficienza, la si costruisce “ad hoc”, invece di adottare o creare una soluzione generale, così si ripeterà lo sforzo ogni volta che nasce un problema analogo.

Investire in informatica non significa comprare un computer.

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